Estate, il dopo ferragosto e il vino? Può essere ...grigio. Non per malcapitate situazioni meteo, ma proprio perché questa varietà si presenta al meglio, uva pronta per la vendemmia. Che in Vallagarina si preannuncia quanto mai positiva. Ma che cosa rende il Pinot Grigio così diffuso, amato, assolutamente 'globale'? La sua storia è tra le più affascinanti, per
certi versi misteriose, come ben s’addice al mito del buon bere. E’ un discendente del fascinoso Pinot Nero, ma il ‘Grigio’ ha casualmente intrapreso percorsi
diversi, senza rispettare i tempi legati all’evoluzione della viticoltura. Per
questioni ancora tutte da chiarire. A partire dalla sua identità, dall’aspetto del grappolo, chicchi
rosa scuro, spesso presenti a ‘macchia
di leopardo’, qualche acino chiaro, altri ancora a due colori, ovvero metà del
chicco bianca, l’altra faccia più scura. Uve comunque versatili, per
vinificazioni diversificate. Anomalia vegetativa che già sul finire del Cinquecento spinse
schiere di vignaioli del centro europeo, a cercare di ottenere – con uve
surmature di questo strambo vitigno – alcuni vini dolci, da vendere più
facilmente di certi vini mediterranei, Malvasie provenienti dal sud Italia o
dalle isole greche. Mai domi nel tentativo di produrre vini dolci, altri viticoltori
piantano Pinot Grigio sempre più a nord, con risultati a dir poco deludenti…
Così, senza clamore, lentamente, le vigne vengono espiantate. Colpite anche
dalla cosiddetta ‘piccola glaciazione’ del primo 1700, gelate micidiali, che
hanno stravolto il panorama vegetativo di tutta Europa. Ma non tutto è perduto. E si tenta un recupero. Dovuto
all’intuito di Johann Seger Ruland, venditore di vino, pure acuto farmacista,
esperto in botanica. Che pianta viti di Pinot Grigio vicino casa sua, a Spira,
città della Renania-Palatinato, nel bacino del Reno. Attorno al 1720 vendemmia queste uve e inizia a vinificare un
vino che – da allora – i tedeschi chiamano con il suo nome: Rulaender. Passione e mercato, però, non marciano di pari passo. Le rese
non sono elevate, la buccia è grossa, il tenore zuccherino labile. Cambiano
anche i gusti dei consumatori di quel periodo, verso vini più corposi, poco
stucchevoli. E nel giro di pochi decenni, la produzione di questo vino dal
colore ramato, praticamente scompare dai registri di cantina. Sarà Edmund Mach, a metà del 1800, uno dei padri della moderna
vitivinicoltura, l’artefice della rinascita del Pinot Grigio. Lo recupera per
censire le varietà di vite più diffuse e lo rilancia anche e specialmente dopo
gli attacchi di fillossera. Nei registri della Scuola Agraria di San Michele
all’Adige – fondata nel 1974 – Edmund Mach annota con dovizia ogni
caratteristica del Rulaender. Tecniche di coltivazione e modalità di cantina,
‘per ottenere un vino fresco, beverino, dal curioso, pallido color buccia di
cipolla’. Consigli che in pochi decenni hanno attirato l'attenzione di cantinieri, d'imprenditori. Vino però – e questa è una curiosità poco nota – destinato
prevalentemente alle aziende piemontesi impegnate nella produzione di vermuth.
Proprio così, vino mirato alla quantità, da trasportare verso Cinzano con carri
ferroviari, per usi alcolici diversificati. Poi la produzione viene insidiata dalle quantità offerte a prezzi bassi da aziende pugliesi. E tra le Dolomiti si pensa di vinificare il 'grigio' in purezza. Dando il via al successo di questa varietà e di un vino assolutamente da 'vedere' a Ferragosto. Per assaggiarlo tutto l'anno.